domenica 19 maggio 2019

Meshes of the afternoon


Una serie di sfortunati eventi esistenziali mi ha tenuta lontana da questi schermi davvero MOLTO a lungo.
Per circa sei mesi non ho avuto con me il PC ed ho vissuto in maniera alquanto precaria, ma oggi, finalmente meno angosciata, ho visionato il film del quale vi voglio parlare.
Definito uno dei film più interessanti mai realizzati, Meshes of theAfternoon rappresenta un viaggio onirico, allucinato, folle forse, dentro il quale lo spettatore può individuare molti significati.
Realizzato da Maya Deren e da suo marito Alexander Hammid nel 1943, ha una durata di 14 minuti, ed è stato originariamente pensato come un film privo di colonna sonora.
Successivamente, nel 1959, il film è stato arricchito dalla colonna sonora inquietante e scarna composta da Teiji Ito, terzo marito della Deren.


Nel film vengono mostrati alcuni elementi ricorrenti, che ad uno psicologo o studente di psicologia potrebbero comunicare simbologie bene definite legate alla parte inconscia della mente umana, ma che per me, misera profana, hanno assunto significati dei quali vi parlerò poi.
Gli elementi in questione sono: un coltello, una chiave, un fiore che somiglia molto ad un grosso papavero, un giradischi, ed un telefono con la cornetta staccata.
Inoltre nel film vi è una ripetizione circolare di eventi, e la presenza inquietante di una misteriosa figura ammantata di nero.
Raccontare la trama di questo corto, è alquanto difficile.
Tutto gioca attorno agli oggetti che vi ho descritto prima, alla circolarità delle azioni, e alla misteriosa figura.
Un braccio, innaturalmente lungo, posa un fiore a terra.
Una donna lo raccoglie. Sale delle scale verso casa sua, e quando sta per aprire la porta le sfugge di mano la chiave. La chiave rimbalza giù, lungo gli scalini. La donna la riprende, entra in casa, vede un coltello in una pagnotta, e il ricevitore del telefono staccato.
Sale al piano di sopra, entra in stanza da letto: c'è un giradischi che suona a vuoto. La donna lo ferma. Scende di nuovo, arriva in un salotto e cade addormentata su di una poltrona..
Nel sogno vede se stessa inseguire una figura ammantata di nero. La figura porta con il fiore. La donna lo raccoglie e sale lungo le scale per tornare a casa.
Se nella prima scena non potevano vedere il viso della donna, nella seconda è visibile.
La donna, con fare guardingo, entra in casa.
Sugli scalini per il piano superiore c'è il coltello.
Sale le scale al rallentatore, apparentemente affaticata, ed arriva nella stanza da letto. Sul letto c'è il ricevitore del telefono. Nascosto, il coltello.
Nel coltello si riflette brevemente la sua faccia (deformata)
La donna copre il coltello, e rimette il ricevitore del telefono al suo posto.
Senza alcun preavviso, cade dalla finestra.
Ma non è all'esterno.
La vediamo contorcersi sulle scale in una serie di cambi di angolazione della camera, che danno allo spettatore una sensazione di claustrofobia e pericolo.
La donna vede se stessa, al piano inferiore, addormentata sulla poltrona.
Il giradischi suona a vuoto.
Si sporge, ed è come se lo spazio si restringesse di colpo.
La donna spegne il giradischi.
Dalla finestra scorge la figura ammantata di nero con il fiore in mano.
Scorge se stessa che insegue la misteriosa creatura, si ferma, sale le scale che conducono a casa sua.
La donna che guarda dalla finestra toglie una chiave dalla bocca: è la chiave di casa.
La donna che stava salendo le scale, apre la porta.
Vede la figura ammantata di nero. La segue lungo le scale per il piano superiore.
Con angolazioni distorte e l’uso del rallenty, lo spettatore viene nuovamente trascinato nell'atmosfera soffocante vissuta prima.
La donna cerca di inseguire la creatura, ma è come se non avesse forze.
Nuovamente lo spazio si deforma e restringe.
La donna si arrampica sulle scale; vede la figura nera posare il fiore sul letto.
Sembra dire qualcosa, forse implorare.
La creatura si gira, rivelando il suo volto: uno specchio.
Svanisce di colpo.
La donna, è a piano terra.
C'è il coltello vicino a lei.
Vede se stessa dormire sulla poltrona. Dalla finestra scorge la figura nero vestita. Di nuovo scorge se stessa che la insegue, si ferma, sale le scale.
Dalla bocca della donna che guarda esce una chiave.
È la chiave di casa.
La chiave muta in coltello.
La donna va in cucina, dove vede due se stessa sedute ad un tavolo.
Mette il coltello sul tavolo e si siede.
Il coltello ridiventa chiave.
Ad una ad una le donne prendono la chiave.
Ogni volta che viene portata via da una di loro, riappare.
La terza donna prende la chiave; il palmo della sua mano, è nero. La chiave, ridiventa coltello.
La donna cerca di uccidere la se stessa che dorme sulla poltrona.
All’ultimo momento si sveglia, e davanti ai suoi occhi c'è un uomo.
L’uomo ha il fiore in mano.
Rimette a posto il ricevitore del telefono che si trova sulle scale.
Sale al piano superiore. La donna lo segue.
In camera da letto posa il fiore sul materasso, così come aveva fatto la nera figura.
La donna guarda il fiore.
La camera indugia sul fiore, si sposta, mostrando il volto dell’uomo riflesso in uno specchio.
La donna si sdraia sul letto assieme all’uomo.
L’uomo si china verso di lei.
Il fiore, che giace sul cuscino accanto al viso della donna, muta in coltello.
La donna lo prende, gettandolo addosso all’uomo.
La realtà si infrange come uno specchio, rivelando una veduta oceanica.
Frammenti cadono sulla spiaggia.
Stacco.
L’uomo sta tornando a casa.
Vede il fiore per terra e lo raccoglie.
La chiave è nella toppa.
Gira la chiave ed entra in casa.
Vede la donna sulla poltrona.
Il giradischi accanto a lei, distrutto.
La donna è morta; si presenta ricoperta di alghe e frammenti di vetro. Nella mano sembra tenere il coltello.
Fine.
Al di delle analisi di tipo femminista che questo film sembra avere (la solitudine della donna lasciata sola a casa, lo struggimento della figura femminile nel trovare una identità libera dalle imposizioni maschili) e ad analisi di tipo squisitamente psicanalitico, io in questo film, mano a mano che le immagini scorrevano, ho visto una efficace rappresentazione della malattia mentale;
la depressione, nello specifico.
La nera figura che irrompe nella vita della donna può essere vista come una rappresentazione della malattia, che trasforma la quotidianità in un labirinto di azioni circolari, di giorno in giorno sempre più distorte e disturbate.
La persona perde la propria identità, cerca di ritrovarla (la chiave per la porta di casa), ma si ritrova in una realtà identica, e allo stesso tempo sempre più malata.
Ogni azione si trasforma in sofferenza.
Salire le scale, muoversi diventa difficile come se ci si muovesse al rallentatore prima, e senza alcuna forza o volontà, poi.
Il coltello è sempre presente, come simbolo del desiderio di annientare se stessi.
Appare, scompare, si muta in chiave (mezzo con il quale cercare di ricostruire la propria normalità) e poi nuovamente in arma che ferisce ed uccide.
Il telefono staccato, ai miei occhi, simboleggia l'incapacità di comunicare il proprio malessere al mondo.
Quando l’uomo torna e lo rimette al suo posto, è perché non ha colto i segnali di sofferenza della donna.
Si tratta di una cosa che capita molto spesso: le persone che circondano un depresso possono intuire un malessere, cercano conferma dal malato stesso, il quale al 99.9% dei casi, negherà il problema.
Quindi, rassicurati, metteranno una pietra sopra alla cosa. (rimettere il ricevitore al suo posto, ristabilire la normalità.)
L’uomo, quindi, diviene una sorta di simulacro del malessere vissuto dalla donna.
Non essendo lui in grado di vedere, di aiutare e proteggere, diviene esso stesso la malattia.
La lotta costante tra desiderio di andare a vanti, vincere sulla depressione, e quello di cedere, attraversa tutto il film.
Sfortunatamente il costante oscillare tra desiderio ricostruire e quello di annientare se stessi termina con la vittoria di quest’ultimo, portando la donna ad un ben triste finale.
Ogni speranza svanisce, (come la chiave che diventa coltello) e la donna, sia inconsciamente che consciamente, decide di farla finita.
La realtà nella quale viveva si infrange, rivelandosi solamente una illusione.
Ciò che appare dietro di essa è la vastità dell'oceano che inghiotte, inglobando dentro di sè ogni cosa, in un abbraccio gelido ma rassicurante.
Il fiore che appare nel film, sembra un papavero.
Essendo il film in bianco e nero appare bianco, e quindi non sono sicura si tratti davvero di un papavero.
Potrebbe essere un Anemone.
Ho controllato nel web il significato di questo fiore, trovando quanto segue:
“L’Anemone rappresenta l’effimero e l’abbandono. Un amore tradito, una speranza mal riposta, e viene regalato quando si vuole far notare a qualcuno di essere stati trascurati soprattutto in amore, ma non solo. Anche un amico può usare questo fiore per dimostrare di sentirsi abbandonato.”
Il che, calza perfettamente con le analisi che sono state fatte del film, e che io stessa ho elaborato.
Il Papavero, invece, nella sua colorazione bianca, sembra avere il seguente significato: consolazione, sonno, sventura.
Anche questo significato, calza molto bene a quanto viene mostrato nel film.
In ogni caso, come ogni film espressionista, va interpretato.
Questa che avete letto, è la mia interpretazione.
Non ho idea se sia mai stata fornita una spiegazione “ufficiale” di questo corto, ma tutto sommato è bello poter visionare una pellicola, vedendovi ciò che la propria mente, il cuore, comunicano ai sensi.
Con questo vi invito a vederlo, (è liberamente disponibile su YouTube, ma cercate la versione con la colonna sonora del 1959) ed a compire un viaggio attraverso simboli, immagini, sensazioni, e… tutto quello che volete!
Alla prossima!






martedì 6 febbraio 2018

Gandahar (1988)

Come ormai sapete se leggete questo blog (sto parlando al nulla) spesso trovo spunti grazie a Tumblr, o video fan made scovati su YouTube.
Gandahar, film di animazione Francese del 1988, l’ho scoperto per “colpa” di un canale dedicato alla musica retro dance, electro e varie, che seguo su YouTube.
Il video in questione e’ Automat – The rise.
Giusto per sprecare tempo su cose delle quali non frega a nessuno, dirò che Automat è un album nato dall’unione di alcuni musicisti Italiani per sperimentare le potenzialità di un nuovo strumento musicale: il MCS70.
Si trattava di un sintetizzatore analogico progettato e costruito da un altro Italiano: Mario Maggi. (Ho indagato molto frettolosamente su questo personaggio, che sembra essere una sorta di pioniere nella costruzione di sintetizzatori)
Automat diede vita ad un unico album, dopo il quale i musicisti coinvolti presero vie differenti.
Tornando a Gandahar, il video che accompagna “The rise” è stato realizzato montando spezzoni tratti dal film.

René Laloux, il regista, si era già distinto per un altro pregevole lavoro di animazione (che vedrò presto) ovvero La Planète sauvage del 1973.





Gandahar è una sorta di fiaba fantasy/ sci-fi basata su di una novella scritta da Jean-Pierre Andrevon intitolata Les Hommes-machines contre Gandahar (The Machine-Men versus Gandahar)
La trama: Gandahar è un mondo idilliaco dove le genti vivono in simbiosi con la natura.
Un giorno, tuttavia, questa serenità viene infranta dall’arrivo di misteriosi uomini di metallo.
Gli automi dall’aspetto spaventoso, (e che ricordano i Cyberman di Doctor Who) pietrificano gli abitanti del pacifico mondo.
Le persone ormai divenute statue vengono stivate in giganteschi magazzini, la cui forma è identica a grosse uova.
Le uova, trasportate grazie all’uso di macchine, sono poi condotte ad un luogo dove si erge una sorta di immenso portale.
Ciò che vi entra svanisce, e viene rimpiazzato da nuovi uomini di metallo.
Nella capitale di Gandahar, Jasper, il consiglio tutto femminile che governa quei luoghi si attiva, per cercare di capire cosa siano gli uomini di metallo, e come fermarli.
Viene dunque convocato Sylvain, da tutti chiamato Sylv, un soldato al servizio di Jasper.



Sylvain intraprenderà un viaggio ricco di avventure, durante il quale farà la conoscenza di Arielle, una giovane e bella abitante di Gandahar.
I due cadranno sin da subito innamorati l’uno dell’altro, rimanendo uniti ed inseparabili per tutta l’avventura, che li porterà a scoprire come il popolo di Gandahar fosse in realtà tutt’altro che perfetto e pacifico.
L'ombra di oscuri esperimenti genetici macchia il passato della popolazione, la quale è in definitiva la causa stessa del male che stanno cercando di estirpare.
Vorrei spendere più parole su trama e messaggio del film, ma credo che così facendo rovinerei ad un eventuale futuro spettatore il piacere di scoprire i segreti di Gandahar, degli uomini di metallo e via discorrendo.
Il film è disponibile liberamente su YouTube in due versioni: originale (in Francese con sottotitoli Inglesi) o Inglese.
La versione in Inglese è stata rimaneggiata perdendo alcuni degli elementi originali tra cui la colonna sonora, ed ha subito alcuni censure minori che, vedendo il film in Francese, risultano piuttosto sciocche ed immotivate.
Vi consiglio quindi di visionare il film in Francese con sottotitoli Inglesi.
Personalmente l’ho amato molto, anche se durante la prima parte ho sofferto un po’ per via della storia d’amore tra Sylv ed Arielle.
Onestamente l’ho trovata un po’ troppo “accelerata” per i miei gusti, ma è un parere personale.
Gli scenari onirici e surreali di Gandahar, le sue creature distorte e ricche di creatività, i colori pastello vagamente acidi e psichedelici sono tutti elementi di grande fascino, che chi apprezza questo genere di animazione troverà estremamente interessanti.
Sylv è un eroe senza macchia, leale, ma non perfetto.
Non è invincibile, non è super potente, ed ho apprezzato molto questo suo aspetto cosi “umano” e per certi versi normale.
Il ruolo femminile in questo film, appare molto forte.
Sia il consiglio di Gandahar che Arielle danno prova di forza d’animo, grande intelligenza e coraggio.
Sylv è l’eroe forse, ma chi regge ogni cosa, chi cerca e trova la vera soluzione al problema sono le donne. Lui è unicamente uno strumento in parte sacrificabile. (cosa della quale è perfettamente consapevole)
Gandahar ci fa riflettere sul ruolo che l’uomo ha nei confronti della natura.
Sul fatto che giocare con essa e la vita, cercando poi di insabbiare errori e brutture commessi come se nulla fosse rappresenta un atto grave, probabile fonte di sciagure future, per le quali potrebbe non esservi alcuna soluzione.
Un monito per l'umanità che spesso dimentica il suo ruolo di ospite su questa Terra provocando disastri, calamità, alterando il corso naturale degli eventi sino a deformarli, creando mali tanto grandi, da divenire potenzialmente impossibili da fronteggiare o risolvere.
Buona visione, e come sempre, se volete, lasciatemi il vostro parere nei commenti.



lunedì 11 dicembre 2017

L'Inferno - 1911

L’ Inferno è un film muto del 1911 di produzione Italiana.
Primo lungometraggio Italiano venne prodotto dalla Milano Films, una delle maggiori case cinematografiche del paese.
L’ Inferno è un adattamento del primo cantico della Divina Commedia, dal quel differisce in alcuni punti e dettagli.
Complessivamente l’opera viene tutt’ora considerata come una delle più fedeli rappresentazioni dantesche mai realizzate.
La pellicola prende spunto per le proprie scene, dalle incisioni di Gustave Doré.
Strutturata in 54 scene, presenta intermezzi con stralci tratti dall’immortale poema di Dante e frasi in prosa, coniate per l’occasione.
Il film, per la sua complessità, venne girato nel corso di tre anni, e presenta un quantitativo straordinario di effetti speciali di vario tipo, e comparse.
L’inquadratura è a camera fissa, con occasionali spostamenti laterali che aiutano a rendere meno monotona l’impostazione delle scene.
Assente la presenza di primi piani o carrellate, tecniche ancora non sviluppate all’epoca.
In compenso, come accennato in precedenza, gli effetti speciali sono incredibilmente ben fatti ed interessanti.



Il cinema all’epoca era più improntato sull’intrattenimento e sullo “stupire” lo spettatore, e dunque gli effetti speciali rivestivano un ruolo fondamentale.
Sovrimpressioni, fondali neri, uso di fumo, esplosioni, personaggi che appaiono e scompaiono o volano e molto altro, vengono esibiti all’interno della pellicola in compagnia di una scenografia affascinante, ed un uso massiccio delle comparse.
Queste, recitano prevalentemente nude, cosa che mi ha sinceramente stupita.
La realizzazione delle scene si rivela accurata, persino maniacale.
Ho notato come le inquadrature a campo lungo e medio, siano costruite seguendo le regole della fotografia.
Più volte mi sono ritrovata a sorridere notando diagonali, linee di forza, sulle quali la scena si regge, e che nella loro semplicità danno leggerezza ed eleganza.
La versione che ho visionato (di eccellente qualità) e che vi consiglio, è stata caricata nel canale YouTube di Mike Kiker.
Questi è l’autore della colonna sonora che accompagna l’intera pellicola.
La versione da lui curata è peculiare, poiché si tratta di una copia dell’Inferno proiettata al pubblico con la colonna sonora eseguita in diretta, e praticamente improvvisata a seconda di quanto ciò che accadeva sullo schermo ispirava allo stesso Kiker.
Interessante ciò che scrive nella descrizione del video.

I was asked by the organization Cinema Ray in early September 2016 to perform a live score with a silent horror film, as a part of their month-long "Silent Screams with Live Music" series. Of the choices I was given, "L'Inferno" was the first film that I watched and even before finishing it or watching any of the other films, I knew that this was the film meant for me. I was disturbed on a psychic level, yet intrigued by what amazing feats the filmmakers had accomplished in their day. With the exception of the Overture (recorded in September 2016) and a few recurring themes, this score was about 95% improvised. I worked up various sounds and progressions, but didn't decide on a set structure until within the performance itself. I just reacted naturally to the feel of the film as it progressed. This was an absolute labor of love to put together with Rich and Allison from Cinema Ray and to release. Enjoy with an open mind. - Mike Kiker, 4/27/2017

Il film venne restaurato nel 2006, e ripubblicato con una colonna sonora curata dai Tangerine Dream. (suppongo tenterò di cercarla, sebbene sappia poco e nulla del gruppo, ed in generale il prog-rock/psichedelia non siano generi che prediligo)
Ho trovato la visione di quest’opera davvero interessante.
Gli effetti speciali, la recitazione non troppo eccessiva, la ricostruzione delle scene mi hanno sinceramente affascinata e stupita.
Trovo che il regista abbia fatto un lavoro mirabile; non vi è nulla fuori posto.
Comparse, attori, effetti speciali, tutto gioca in perfetta armonia confezionando un prodotto che tutt’ora brilla per il suo altissimo livello.
Non a caso l’Inferno si rivelò un grande successo di pubblico e critica sia a livello nazionale, che internazionale.
Vi lascio il link, invitandovi caldamente a visionare questo piccolo capolavoro Italiano.


giovedì 7 dicembre 2017

HÄXAN - 1922

Amo i film muti perché sono crudeli.
Nella loro essenzialità e mancanza di suoni, lasciano alla potenza di espressioni ed immagini il compito di raccontare.
Durante le mie scorribande curiose tra video musicali e articoli scovati su social ed altro, spesso mi imbatto in piccole perle.
Questa volta la mia curiosità è stata portata lontano dal video che potete vedere aprendo il link.
Il brano è di Beta Evers, un’artista Tedesca, specializzata in elettronica minimale e non dalle sonorità alquanto dark, e una certa predilezione per temi come BDSM ed affini.
Il video è un fanmade, che l’artista ha molto apprezzato.
Presenta un suggestivo montaggio di immagini tratte da HÄXAN un docufilm svedese del 1922, il cui argomento è la storia della stregoneria, unite ad altre appartenenti ad una differente pellicola che spero di trovare e visionare.



Mescolando informazioni storiche e ricostruzione cinematografica, Häxan porta lo spettatore in un viaggio a tratti angosciante nelle credenze popolari su demoni e streghe, il ruolo dell’inquisizione, modalità di interrogatorio e torture.
Si analizza infine, usando il metro della scienza medica dell'epoca, il peso che il disagio mentale ha ed ha avuto nella psiche di quelle donne considerate come streghe.
Un film scarno e potente, che mette in luce in modo semplice ma incredibilmente efficace tutta una serie di orrori legati alla stregoneria.
Sul finale, ho pianto.
Ho pianto, perché pur con tutte le limitazioni dell’epoca, si mostra come nonostante i secoli siano trascorsi, qualunque donna od individuo dai comportamenti anomali venga bollato, discriminato e rinchiuso in cliniche, dove viene trattato con metodi forse più umani e non cruenti come quelli dell'inquisizione, ma che fanno ugualmente capire come per la stragrande maggioranza delle gente nulla sia realmente cambiato.
La diversità, fa paura.
Tutto ciò che non si può spiegare o dominare un tempo veniva attribuito al demonio, ora ad altre circostanze, ma l’atteggiamento tenuto da chi non sa e non soffre, è il medesimo.
Noi, donne che silenziosamente annaspiamo sotto il peso di una mente incapace di assolvere decentemente al proprio dovere, siamo le nuove streghe.
Facciamo spavento, esattamente come quelle donne che in tempi antichi solo per il fatto di essere in qualche modo “diverse”, venivano torturate e messe al rogo.
Consiglio vivamente la visione di questo film, specie se amate il cinema muto e temi legati a stregoneria, e condizione femminile nei secoli passati.
La copia che ho visionato ( e della quale metto il link a termine del post) è di qualità straordinaria, e merita di essere vista in tutta la propria feroce bellezza di immagini, temi e chiaroscuri.
La recitazione è molto bella.
Non vi sono eccessi di tipo espressionista, è tutto molto misurato e per certi versi “reale”.
Buona visione.

giovedì 17 agosto 2017

Johanne

Su Instagram, si fanno incontri strani.
Quando controllo chi abbia messo like ai miei post di street art (se volete vederli, cliccate QUA) spesso incappo in personaggi singolari, a volte imbarazzanti.
A volte, invece, trovo soggetti interessanti.
A volte, invece, trovo un piccolo studio di animazione, in grado di produrre un corto delizioso che ieri notte ho gustato in santa pace, restandone piacevolmente impressionata.
Ora, non immaginate chissà che; è “solo” animazione 2D fatta con il cuore, dai colori gentili ed il tratto rotondo, quasi infantile.
Però mi ha conquistata, e dunque ne parlo in questo post.
Lo studio del quale parlo, è il Dragonbee Animation.
Di base a Londra, produce, come dicono nel loro sito: “unique and inspired animation.”
L’opera che vi propongo si intitola “Johanne.”




Delicata, musicale, morbida.
E piena di sorprese.
La storia, sviluppandosi in poco più di tre minuti ci porta per mano in un crescendo, che credo vi stupirà.
E non dico altro, perché altrimenti, che gusto c'è?
Qua i link per sito, corto e altro.
Buona visione!

Dragonbee Animation: 


giovedì 13 ottobre 2016

Posle Smerti - After Death

Posle Smerti (After Death) è un film Russo del 1915, diretto da Yevgeni Bauer
Bauer era uno dei più importanti registi Russi di inizio secolo, ma purtroppo gran parte delle sue opere sono andate perdute.
Di una settantina, ne sopravvivono solo ventisei.
Una di queste è Posle Smerti – After Death.
Sono rimasta piacevolmente impressionata da questo film, non più lungo di 47 minuti.
Sono presenti interessanti inquadrature, e un uso della carrellata davvero notevole per l'epoca.
In una scena ho provato molta tenerezza nell'ammirare con quale difficoltà si allontanasse la camera, per passare da un' inquadratura stretta ad una ampia.
Abituati alle prodezze delle moderne tecnologie, la lentezza e le piccole incertezze di quella manovra, sono risultate persino commoventi.
In una delle scene di apertura, assistiamo ad una pregevolissima carrellata su di un lussuoso party.
La camera procede inquadrando la sala scorrendo in orizzontale dando allo spettatore una fugace visione dei partecipanti, tutti estremamente bravi e naturali nelle loro interpretazioni.
Di cosa parla la storia?
Il plot è assai semplice, ma di effetto. Un'unica pecca grossa come una casa rovina l'insieme del film, e ve ne parlerò al momento opportuno.
Andrei è uno studente universitario orfano di madre. Vive con la zia iperprotettiva, e passa le sue giornate in solitudine e reclusione a studiare.
Un suo amico, preoccupato che il ragazzo finisca col trascorrere tutta la vita in isolamento lo invita ad un party.
Andrei va seppur di malavoglia, e lì incontra una giovane attrice di nome Zoya.
Vi è un intenso scambio di sguardi tra i due, che rende evidente come i giovani siano rimasti affascinati l'uno dall'altro.
Andrei rivedrà Zoya in un'altra occasione, e sempre per “colpa” dell'amico.
Disorientato dai sentimenti che prova, e desideroso di non assecondarli per conservare la propria dedizione allo studio, rifiuta di stringere ulteriori rapporti con Zoya.
La ragazza tuttavia, invia ad Andrei una missiva: vuole incontrarlo.
I due si vedono in un parco, e Zoya si dichiara ad Andrei.
Lui, stupefatto e confuso reagisce in maniera piuttosto fredda suscitando la delusione di Zoya, che se ne va lasciandolo solo.
Tre mesi dopo l'uomo scoprirà che Zoya si è avvelenata, a causa di un amore non corrisposto.
Sconvolto, va dai parenti di lei. La sorella darà al giovane il diario personale di Zoya e la sua foto.
Da quel momento in avanti Andrei svilupperà un'ossessione per la donna, che lo porterà ad avere sogni inquietanti, visioni, malesseri.
Al termine del film, sopraffatto dagli eventi, morirà.
Le parti oniriche sono a mio parere splendide.
Zoya, interpretata dall'attrice-ballerina classica Vera karalli si presenta avvolta da un etereo abito bianco. I lunghi capelli sciolti e fiori sul capo, la rendono una visione magica, piena di fascino.


Lo scenario è scarno, suggestivo.
Solo un campo di grano, mosso dal vento.
La scena in cui Zoya dopo aver assunto il veleno inizia a stare male e poi muore, è recitata in maniera mirabile per l'epoca.
Non presenta esagerazioni, è davvero molto realistica e al contempo elegante.
Le parti dove Andrei incontra il fantasma di Zoya nella realtà, ovvero all'interno di casa sua, trasmettono uguale fascino.
Tutto appare molto onirico, sospeso, estremamente ben confezionato.
L'unica pecca, ed è una pecca davvero grossa, sta nella scena che in teoria dovrebbe essere quella chiave in tutto il film.
Quando Zoya ed Andrei si incontrano la narrazione perde colpi, e sembra mancare di elementi essenziali per far comprendere allo spettatore l'importanza e la gravità di quanto sta accadendo.
Ho dovuto rivedere la scena, perché non riuscivo a cogliere il motivo preciso per il quale Zoya avesse deciso di uccidersi.
Anche dopo una seconda visione, sono rimasta perplessa.
In ogni caso questo film costituisce una piccola perla, e credo vada visto in virtù delle sue qualità tecniche, per l'atmosfera suggestiva, e la bellezza di alcune scene.
Una curiosità, Vera Karalli sembra sia stata un elemento chiave nell'assassinio di Rasputin.
La sua presenza nel Palazzo Reale il giorno dell'omicidio, e la sua condizione di amante del Granduca Dmitri Pavlovich, ovvero uno dei mandanti di quell'esecuzione, fanno supporre che anch'essa facesse parte del complotto.
Il film lo trovate per intero su youtube, sottotitolato in Inglese.
Buona visione.

sabato 24 settembre 2016

Kaze to ki no uta - Il poema del vento e degli alberi

Il poema del vento e degli alberi (Kaze to Ki no Uta) è un anime del 1987 tratto dal manga omonimo, pubblicato in Giappone tra il 1976 e il 1984.
Considerato uno dei primi titoli con tematiche omosessuali, impiegò ben nove anni prima di venire pubblicato, poiché l'autrice Keiko Takemiyasi rifiutò categoricamente di censurare le parti scabrose contenute nella storia.
L'adattamento animato del 1987 mostra solo la prima parte, del ciclo narrativo contenuto in  Kaze to Ki no Uta
L'intera vicenda si svolge in Francia, precisamente in Provenza, nella seconda metà del 1800.
Serge è un giovane ragazzo figlio di un aristocratico e una zingara, che rimasto orfano viene inviato in un prestigioso collegio maschile, lo stesso dove il padre aveva studiato in gioventù.
Serge, ormai adulto, torna a visitare i luoghi che lo videro adolescente, rimettendo piede nella stanza numero 17 teatro della sua turbolenta relazione con Gilbert, il compagno di stanza.


Gilbert è un giovane di angelica bellezza, il cui comportamento suscita disapprovazione e chiacchiere.
Sin da subito risulta chiaro come Gilbert sia invischiato in sordide relazioni sessuali con diversi uomini.
Sembra inoltre soffrire di una salute alquanto cagionevole, che necessita un uso costante di medicinali, ai quali è ormai assuefatto.


Serge, ragazzo innocente, nobile e dall'animo puro, si ritrova a dover avere a che fare con questo strano e disturbante soggetto evitato da tutti.
Ogni studente sa che razza di vita faccia, ma nessuno interviene affinché le cose cambino, o si interessa a cercare di capire perché Gilbert sia tanto ossessionato da relazioni violente, promiscue e pericolose.
Sarà proprio Serge a preoccuparsi per lui, cercando in ogni maniera di instaurare un contatto positivo con il compagno di stanza.
Gilbert per tutta risposta chiedera' ad uno dei suoi amanti di far fuori il ragazzo, in cambio di “tutto ciò che vuoi” alludendo ad una prestazione sessuale.
La cosa sembra andare come stabilito quando l'amante mette fuori combattimento Serge, e poi decide di prendersi ciò che gli spetta forzando Gilbert ad un rapporto omosessuale.
A questo punto Serge, ripresosi dallo stordimento (gli era stato somministrato dell'etere) salva Gilbert azzuffandosi con l'amante del ragazzo, mostrando non solo di possedere una grande forza fisica e tenacia, ma anche e sopratutto un animo indomito, leale, solido come acciaio.
Così Gilbert decide di “accettare” Serge.
Si tratta di una vittoria momentanea per il ragazzo, il quale si vedrà ben presto costretto ad affrontare la consapevolezza che Gilbert è felice di vendere il proprio corpo.
Non mi dilungo in ulteriori dettagli per non guastarvi troppo il piacere di visionare il film, qualora decideste di farlo.
Il poema del vento e degli alberi è un anime coraggioso, onesto e non troppo edulcorato, che parla di omosessualità, stupro, uso di droghe, sadismo e discriminazione.


Gilbert si rivelerà essere nulla più di una creatura spezzata ed infelice abusata sia dal suo tutore/zio nonché benefattore del collegio in cui studia, (cosa che spiegherebbe perché possa mancare al coprifuoco o alle lezioni senza venire punito) che da tutti gli uomini con cui ha avuto a che fare.
Lo zio l'ha “educato” al piacere di essere torturato e usato, tanto che quando il giovane che prova per l'uomo un sentimento sincero riceve da lui una lettera dal contenuto scioccante impazzisce di dolore, sfogando quanto sente in un rapporto sessuale di incredibile violenza.
Purtroppo non ho idea di cosa parlasse la lettera, perché la versione in Italiano scovata su YouTube non offre sottotitoli con la traduzione dei kanji Giapponesi in sovrimpressione.
Deve trattarsi in ogni caso di parole terribili o dolorose studiate appositamente per indurre Gilbert a soffrire, dedicandosi all'autolesionismo per compiacere i desideri dello zio.
L'uomo nutre la perversa convinzione che solo tramite tanto dolore, il giovane potrà divenire un essere dotato di pura sensualità.
Sconvolto Gilbert si recherà da uno dei suoi amanti, invocando di essere preso con la violenza, picchiato, stretto sino alla morte.
È evidente come il concetto di amore espresso dal giovane sia distorto a causa delle sevizie subite in tenera età, rendendo Gilbert una figura vulnerabile tristissima nella sua fragilità di essere umano soggiogato, sfruttato, reso incapace di guardare ai sentimenti e al sesso in maniera equilibrata.
Solo Serge sembra possedere la chiave segreta, per donare un briciolo di luce a quell' anima resa oscura dalla sofferenza.
Gilbert tornato in collegio dopo il burrascoso rapporto, chiederà a Serge di dormire con lui.
Serge dapprima si opporrà, accettando poco dopo per compiacere il compagno di stanza.
Non è un atto di debolezza il suo, e tanto meno di pietà; si tratta di amore, poiché tra le righe si capisce come Serge sia attratto da Gilbert.
I due dormiranno assieme, nudi, abbracciati l'uno all'altro.
Finalmente Gilbert può assaporare vero calore umano, pace, amore sincero.
Attraversato da un filo costante di tristezza e cupa disperazione, vagamente disturbante per i temi trattati contrapposti allo stile di disegno del periodo tutto occhioni stellati e linee delicate, Kaze to ki no uta scorre tenendo lo spettatore agganciato allo schermo dal principio alla fine.
Opera importante per il suo gusto rivoluzionario, tutt'ora attualissima nella sua cruda semplicità, Il poema del vento e degli alberi e' un film imperdibile per tutti gli appassionati del genere, per chi si interessi di temi omosessuali in arte e letteratura, per gli amanti dell'animazione giapponese in stile vintage.
Cercatelo, guardatelo, e lasciatevi rapire.